Mutuo Soccorso Museo Virtuale

1925

Orbassano, il forno operaio agricolo

Il pane che sfama, il pane quotidiano necessario per vivere, il cibo più popolare e fondamentale.

È nutrimento base del corpo e dello spirito, carico di valori simbolici e di valenze religiose.

È simbolo della condivisione, del frutto del lavoro di molti, della solidarietà.

Nelle Società di mutuo soccorso il pane, come anche il vino, ebbe un ruolo molto importante.

Quando, varato il meccanismo dei sussidi per malattia e vecchiaia, i soci pensarono ad altre iniziative per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, uno dei primi passi fu quello di aprire magazzini cooperativi con generi alimentari, di buona qualità e prezzo contenuto.

E in molte località diedero vita a panifici e forni sociali.

 

Il Forno Operaio Agricolo di Orbassano, cittadina alle porte di Torino, nasce nel lontano 1925, grazie alla testardaggine di 18 orbassanesi, passati poi a 27 nella rifondazione del 1932, che non accettavano, interrompendo così una tradizione secolare, di sottostare alle imposizioni dei panificatori locali che pretendevano che i contadini vendessero il grano ai panificatori stessi, per poi dover acquistare il pane a prezzo pieno da loro; ne derivava un forte guadagno per i panificatori ed una iattura per contadini ed operai. Altra motivazione, per giustificare questa “rivoluzione”, era di tipo tecnico: le farine prodotte dai locali mulini, non garantivano una resa ottimale come quelle prodotte dai mulini a cilindri, dove invece loro si approvvigionavano.

I soci fondatori, contadini ed operai, vollero quindi continuare a lavorare e cuocere le loro farine, prodotte macinando il proprio grano, frutto di tanto sudore e immensa fatica.

Ma essendo in pieno periodo fascista, il Forno nacque come Cooperativa, infatti la creazione di nuove Società di mutuo soccorso era osteggiata se non addirittura vietata dal regime.

Subito dopo, nel 1926, venne acquistata l’attuale sede sociale per lire 18.000 e nel 1932, dopo la rifondazione, prese il nome di “Società Anonima Cooperativa Forno Operaio e Agricolo”, iscritta all’Ente Nazionale delle Cooperative, appena istituito dal Fascismo.

 

La testardaggine summenzionata dei soci fondatori unita a spirito imprenditoriale e lungimiranza portarono al successo il progetto che si rifaceva direttamente alla tradizione dei forni di borgata, di origine medievale; veniva in tal modo ottimizzata la cooperazione fra operai e agricoltori, unendo produzione e consumo.

Pur approfittando del periodo favorevole all’utilizzo e valorizzazione del grano autoctono (è di questo periodo la famosa “Battaglia del grano”, lanciata durante il regime fascista da Benito Mussolini, allo scopo di perseguire l'autosufficienza produttiva di frumento in Italia), i soci furono altresì scaltri e prudenti perché, misero “le mani avanti” precisando all’art. 3 dello Statuto che la loro Società era “…assolutamente apolitica, avendo solo carattere economico”.

Il Forno è sempre stato al numero 23 di via dei Mulini e in questa strada esistevano ben due mulini, “cul ’d zura” e “cul ‘d suta” (quello di sopra e quello di sotto), rispetto allo scorrere della bialera, la cui acqua forniva energia per muoverli entrambi.

I mugnai, su ordine dei clienti, portavano le farine direttamente al forno, il gestore le panificava per i soci e per la comunità.

I soci avevano un libretto di carico e scarico della farina e del pane con le seguenti regole:

  • per ogni quintale di farina, si aveva diritto a 120 kg di pane, pagando solo la cottura.
  • per ogni quintale di farina, si aveva diritto a 100 kg di pane, senza pagare la cottura.

Nonostante le mille vicissitudini passate, una guerra mondiale devastante, gli alti e bassi economici e sociali, la nascita della grande distribuzione, il cambio delle abitudini alimentari, il Forno è giunto fino ai giorni nostri con tutto il suo patrimonio, immobiliare e culturale, grazie ai valori dell’associazionismo, della cooperazione e della solidarietà.

Nel 2005, la Cooperativa è stata trasformata in Società di Mutuo Soccorso, non potendo più soddisfare i requisiti che la legge sul “Nuovo diritto Societario”, richiedeva alle cooperative; si è così potuto salvare, ancora una volta, questo patrimonio e forse si è raggiunto, l’antico e ancestrale progetto di quei 18 soci fondatori, che se non fosse stato per il Fascismo, avrebbero fondato una SAOMS.

Oggi con vero e marcato orgoglio, possiamo affermare che nell’attuale C.d.A., composto da nove persone, ben cinque sono discendenti diretti di quegli indomiti, della rifondazione del lontano 1932.

 

Bibliografia